Monotipi e Vetri

Tristano di Robilant

Dal 03 Ottobre al 30 Novembre 2024

Siamo lieti di presentare in galleria la mostra personale “Monotipi e vetri”, di Tristano di Robilant. In occasione di questa sua terza mostra a Napoli, l’artista proporrà cinque sculture in vetro ed otto monotipi su carta.

Le sculture realizzate in collaborazione con il maestro vetraio Andrea Zilio presso la fornace l’Anfora a Murano, sono il risultato del sodalizio tra l’artista e il maestro vetraio, che prosegue dal 2005. Le sue opere grazie alla trasparenza del vetro, mettono in un sapiente equilibrio, forme luce e colore, rimandando ad arcaismi, se pur fortemente contemporanei. Forme prive di irregolarità, esaltate dai colori e dalla trasparenza della materia, prendono nome da un vasto archivio di influenze letterarie, filosofiche e storiche. Ad accompagnare i vetri, saranno esposti una serie di monotipi realizzati a Verona con la collaborazione della stamperia d’arte Belardinelli. I monotipi, che in alcuni casi sembrano studi delle sculture e in altri evocazioni di paesaggi immaginari, sono realizzati con colori ad olio su carta. L’immagine viene inizialmente dipinta e lavorata su una lastra in plexiglas. Dopodiché la lastra viene passata attraverso il torchio e pressata su un foglio di carta. I lavori non sono un’edizione, sono lavori unici per questo il nome: monotipi. Anche in queste opere si avverte la suggestione della trasparenza e della fluidità del vetro.


CROMA

Eliel David Pérez Martínez

Dal 16 Maggio al 12 Luglio 2024

Gallerie Riunite ha il piacere di annunciare che il 16 Maggio 2024 verrà inaugurata la mostra “CROMA” del giovane artista messicano Eliel David Pérez Martínez.

La mostra è accompagnata da un testo di Lucrezia Odorici e gode del patrocinio dell’Ambasciata del Messico e del Consolato del Messico a Napoli.

Sarà visitabile fino al 12 Luglio 2024.

“Il semplice guardare una cosa non ci permette di progredire. Ogni guardare si muta in un considerare, ogni considerare in un riflettere, ogni riflettere in un congiungere.

Le Gallerie Riunite presentano CROMA, un’esposizione personale di Eliel David Pérez Martínez con parte della più recente produzione pittorica realizzata nel suo studio di Città del Messico. La mostra ci propone l’incontro fra due realtà, il Messico terra d’origine e Venezia dove si è formato, attraverso le tonalità vive nei dipinti dell’artista.

Il lavoro di Martínez si presenta con pattern in festa, dove a volte sembra riconoscere la fantasia di un tessuto o una texture particolare. Ad un primo sguardo, le campiture dai colori vivi sembrano formare dei mondi astratti sulla superficie, una stratificazione di segni che interagiscono tra loro. Gli elementi dipinti sono vari, multiformi, ognuno con una propria identità. Alcuni sembrano incerti, altri più decisi e dai contorni netti. Tondi e morbidi o serpeggianti come un fulmine. Attraverso un gioco di bilanciamenti tra chiari e scuri, Martínez crea nuovi spazi e profondità. Delle composizioni sembrano ricordare una foresta pluviale, altre un fiume.

L’intera natura si rivela attraverso il colore.

Goethe ci insegna che è anche l’oscurità l’elemento fondamentale per conoscere il mondo visibile. Allora proviamo a chiudere gli occhi e pensare ad un vaso di fiori. Che ci siano rose, tulipani, il vaso alto o basso, lo stiamo vedendo, è davanti a noi nonostante l’assenza di luce e l’oggetto stesso. Anche nei dipinti di Martínez convergono degli opposti, un’antitesi, due luoghi temporalmente e geograficamente distanti: gli anni dell’adolescenza nella sua terra natia e gli anni di formazione passati nella laguna di Venezia.

Il Messico caotico, retto da più sistemi e privo di una purezza, si incontra con Venezia, città salmastra, d’inverno avvolta nella nebbia fitta che i primi raggi del sole la illuminano esaltandone la precisione idilliaca. Queste terre opposte per colori e peculiarità, non si mescolano nei dipinti dell’artista, mantengono ognuna la propria forte identità andando a dialogare in modo armonico con l’altra con un nuovo linguaggio pittorico, attraverso le tonalità che più le rappresentano producendo una nuova immagine. Come un’operazione di taglia e cuci, l’artista genera un connubio tra le sue realtà, quella Latino-americana e quella Europea, creando una nuova narrazione.”

(Testo di Lucrezia Odorici)


PINGA’S UNIVERSE – Magigonie

Pierre-Yves Le Duc

Dal 22 Febbraio al 03 Maggio 2024

Gallerie Riunite ha il piacere di comunicare che il 22 febbraio 2024 verrà inaugurata la mostra Pinga’s Universe – Magigonie di Pierre-Yves Le Duc; un progetto inedito dell’artista presentato a Napoli per la prima volta.

Il lavoro di Le Duc consiste in una serie di collages costituiti da fotografie d’epoca di Napoli e Capri accostate sapientemente ai suoi schizzi ad inchiostro, a costituire un unicum tra fotografia e disegno, creando nuove visioni di luoghi, sospesi tra realtà e immaginazione. In mostra saranno presentati cento lavori su Capri e venti su Napoli.

Il titolo Magigonie è un neologismo coniato da Pierre-Yves Le Duc: “un collage per tentare di andare oltre la realtà visibile, non per indagare sulla magia dell’arte, ma sull’arte della magia artistica”.

Il progetto prende corpo da una ricerca che dura già da 10 anni. “In pratica cerco di farmi complice del caos, della casualità, navigando senza remi né vele alla ricerca di mondi paralleli, inaspettati. […] C’è alla base una osservazione acuta di ogni particolare della foto e del mare di schizzi. Ma anche un immaginare mondi fuori dall’inquadratura della foto, alla quale seguono lunghe passeggiate, fotografia alla mano, alla ricerca di sorprese nel caos dei segni d’inchiostro.” (cit. Pierre-Yves Le Duc).

La mostra sarà accompagnata da un catalogo con i testi di Pierre-Yves Le Duc, Barbara Crespigni, Sandra Sannia e Alfredo de Dominicis, edito da Editoriale Scientifico e con il progetto grafico di Paolo Altieri Associati.

Di seguito, riportiamo alcuni stralci dei testi del catalogo:

“Succede che una brezza, un paesaggio, un colore possano determinare opere originali; oppure che l’origine della creatività si celi nel cuore stesso dell’opera. […]

Avviene così che Pierre-Yves Le Duc inizi una serie denominata “Magigonie”, un universo fantastico in cui ad una cartolina d’epoca di un paesaggio italiano si abbina un disegno libero, risultato non voluto di una pratica quasi ossessiva con la china. La magia sorge da sola, poiché i soggetti in bianco e nero vengono diretti verso lidi insoliti, sono raddoppiati dall’inchiostro nero, sorge un proseguimento, una forma sognante in cui ravvedere ciò che la fantasia dello spettatore riesce a immaginare[…]  Si tratta di una magia, della magia del lavoro, del mistero dell’arte. […]   Una forma, un pezzo di un disegno non voluto sembra un pianeta, un altro una tempesta solare, poi si vede un alieno e così via in un universo di presenze stellari e lontane; tutto questo prende forma e si posiziona poco a poco vicino alle cartoline, come se fosse un mondo che incombe, presente nel quotidiano, tra baie e castelli, sul Vesuvio e altrove”

(cit. Barbara Crespigni)

“L’artista sembra suggerirci che il meccanismo del mondo è unico e il compito dell’arte è di creare associazioni libere capaci di dar vita a nuovi significati per interpretare l’universo; una sorta di teofania che ci rivela l’aspetto imponderabile della realtà”.

(Cit. Sandra Sannia)

“In Pinga’s Universe, Pierre-Yves Le Duc fa specchiare l’ordine con il caos, il noto con l’ignoto. Si susseguono, in modo ripetitivo, due mondi, due visioni. Da una parte il Mondo che conosciamo, una serie di cartoline che riproducono luoghi tra i più iconici e conosciuti al mondo, dall’altro un Mondo primordiale; o forse, al contrario, un Mondo futuro, post-umano. [..]

Oppure, si ha la sensazione, la suggestione di trovarsi al cospetto di qualcos’altro ancora. Di una magia, o meglio di un incantesimo degno di una favola.”

(Cit. Alfredo de Dominicis)

Foto: Roberto Della Noce


Messages

Marco Acri

Dal 05 Dicembre 2023 al 02 Febbraio 2024

È strano pensare come il primo quadro mai dipinto da Marco Acri sia interamente basato sul “lettering”, ossia sulla parola scritta. Un adolescente in un’afosa giornata estiva va a zonzo in motorino per la città e a bordo strada nota l’insegna di un’officina con iscrizioni dipinte a mano. Una visione fugace, un soggetto all’apparenza banale, ma che gli rimane per sempre impresso nella memoria, tanto che riappare insieme all’esigenza di riprodurla: inizia così la storia di Acri con la pittura. Volutamente sbavata, spinta dentro scompostamente a non fuoriuscire dai bordi, in Ditta Nocerino (2004) la composizione ricalca le irregolarità delle scritte sul cartello, in un approccio che definiremmo iperrealistico.

Ma la pittura di Acri è non tanto il tentativo di riprodurre la realtà così come la vediamo – ammesso che esista una percezione oggettiva della visione, e ammesso che ad Acri interessi – quanto il desiderio di cogliere la profondità abissale di un guizzo passeggero, l’eternità di un movimento nella memoria, un fermo immagine sull’universalità di un’epifania, che tuttavia può essere alla portata di tutti, nel quotidiano, purché qualcuno ci ricordi di farlo – magari lasciandoci un messaggio in codice, o su un post-it.

È strano, si diceva poc’anzi, che Acri parta dalla parola scritta e arrivi a spogliarla fino al segno; ma, a ben guardare, forse siamo di fronte a una metamorfosi spontanea nella strutturazione di un suo proprio alfabeto visivo. La personale Messages presenta due esempi, diversi e complementari, della ricerca pittorica finora intrapresa da Acri: sei tele di medio formato della serie “Hidden Message” e due quadri di piccolo formato della serie “Don’t call it post-it”. Nelle sue opere, la razionale impronta architettonica e la conoscenza sapiente delle forme e degli equilibri spaziali si dispiegano secondo una marcata, rigorosa e pulita verticalità, convivendo armoniosamente con impulsi che tendono, e devono molto, alla poesia visiva.

Nella serie “Hidden Message” (2018 – in corso), sottili linee disposte l’una di seguito all’altra in file ordinate celano un alfabeto, le cui lettere sono decifrabili solo grazie al colore. Se nella censura, le linee, solitamente nere, vengono utilizzate per elidere parti di testo, qui le linee colorate rivelano un messaggio nascoso, richiamando la funzione delle “cancellature” di Emilio Isgrò, che offrono un processo costruttivo e aprono significati attraverso apparenti sottrazioni.

In occasione della mostra, Acri stratifica le chiavi interpretative della sua ricerca espressiva attraverso i nuovi media, esortando a spingersi al di là delle abitudini e adottando uno spirito ludico nel relazionarsi con i suoi lavori. Incoraggia, così, all’utilizzo di Instagram nell’interazione attraverso i filtri creati ad hoc per decifrare il messaggio.

Con “Don’t call it Post-it” (2005 – in corso), invece, frammenta concetti e immagini in una griglia, semplificando il soggetto come un singolo pixel. I dipinti, realizzati su cartoncini quadrati meticolosamente tagliati a mano dall’artista, trasmettono idee attraverso colori e forme, giocando sull’illusione che siano effettivamente Post-it. Il soggetto, pur nella sua estrema astrazione, è anche simbolico; una lieve interferenza nella quiete apparente della superficie, sia essa una nuvola nel cielo o una boa che macchia l’azzurro del mare. Forse, però, sono proprio le stesse a offrire un aiuto: un’ombra alla quale ripararsi, un appiglio per mettersi in salvo.

I dipinti di Acri non sono solo raffinati e piacevoli da guardare; c’è di più per chi si avventura oltre la superficie; per andare oltre, forse c’è davvero bisogno di un’interferenza, di un glitch che

faccia aprire gli occhi. Se da un lato esortano ad un libero e ironico “disengagement”, offrono al contempo dei brevi quanto onesti “reminder”, a seguire i propri sogni, ad amare sé stessi, a serbare il ricordo speciale delle “prime volte”, a far tesoro di quelle piccole cose e sensazioni che rendono l’ordinario straordinario. In fondo, “It’s all about how you look at it”.

Testo critico di Valeria Bevilacqua

Foto: Paolo Vitale


Oasis

Peter Flaccus

Dal 06 Ottobre al 01 Dicembre 2023

Dopo le mostre personali a Napoli (2014 e 2018) e Capri (2015) e dopo la partecipazione all’edizione di Artefiera del 2023, siamo lieti di annunciare Oasis”, la nuova mostra personale di Peter Flaccus, negli spazi della galleria.

Statunitense di nascita, all’inizio degli anni ’90 Flaccus si trasferisce a Roma dove vive e lavora ancora oggi.

In Italia il suo lavoro si concentra sin dall’inizio sulla ricerca di nuove tecniche e linguaggi astratti, tra cui l’encausto. Ispirato da questa antica tecnica artistica, Flaccus la studia, la sperimenta, scoprendo soluzioni innovative, raffinate ed inedite nel contesto dell’arte contemporanea.

Il linguaggio astratto sviluppatosi grazie a un metodo che richiede una grande padronanza tecnica, ha permesso all’artista di dar vita a un ricco repertorio di soluzioni formali, creando delle gamme cromatiche innovative, con rimandi a forme e processi del mondo naturale, il tutto in una scala che spazia dal microscopico al cosmico.

L’universo di Peter Flaccus è un mondo di misura e di tensioni, un mondo immaginario nel quale coabitano rigore geometrico e dinamismo cromatico.

Le sue opere, realizzate secondo l’antica tradizione dell’encausto, sono generalmente lisce come specchi; in alcuni casi, la superficie pitturale è sottilmente incisa secondo una forma di scrittura nella quale linee rette e curve dialogano enigmaticamente, altre volte, sono i dislivelli successivi della materia a creare ancora maggiore potenza e presenza.

Il titolo della mostra “Oasis”, scelto dall’artista, è fortemente evocativo e rimanda ad un luogo accogliente.  L’artista ci invita ad esplorare le sue opere come se in un viaggio nel deserto improvvisamente si palesasse un’oasi, lusso per i sensi.

Citando le sue parole: La galleria è un’isola felice, un’oasi, così come lo è il dipinto stesso, un luogo di pace e di sensazioni intensificate. Il dipinto non è l’immagine di un luogo, ma è esso stesso un giardino di ristoro, che invita a una riflessione senza fretta, separata dal resto del mondo.”

La mostra ospitata negli spazi della galleria si compone di 18 lavori, di vario formato, tutti eseguiti con la tecnica dell’encausto eseguiti negli ultimi venti anni.

Foto: Paolo Vitale


Ci sono occhi, dei giorni

Luca Grechi

Dal 05 Maggio al 21 Luglio 2023

Nelle sue opere, l’artista depone il colore attraverso un procedimento meditativo, strato dopo strato, che fa affiorare l’essenziale della sua poetica, lasciando percepire accenni di figuratività.

In questo divenire, gli equilibri e pensieri che si depositano sulla tela creano una pausa senza tempo che non definisce ma presenta un’attesa.

Queste infinite possibilità si manifestano nella sua pittura con quel silenzio e rumore in contrasto continuo, alla ricerca di una convivenza.

“Incontro la distanza,

La luce si muove insieme allo spazio, le distanze che si avvicinano allo sguardo, in un delicato processo di piani, che si sovrappongono, si incontrano, si trasformano.

Si arriva a quel senso di conoscenza misto a dimenticanza.

Ci sono occhi dei giorni che frizzano, altri che fanno fatica, le parole si vedono per assaporare il silenzio, parole piene di assenza.

Pensare il paesaggio a distanza, in riva al cielo, si confonde quel mare rumoroso, piatto, deciso, salato, il vento fa da specchio.”

(Luca Grechi)

Foto: Paolo Vitale e Vanessa Caredda


Black Box

Tommaso Ottieri

Dal 31 Marzo al 28 Aprile 2023

Dopo la mostra al Museo del Tesoro di San Gennaro, siamo lieti di annunciare il nuovo progetto di Tommaso Ottieri “Black Box”.

L’artista è noto per restituire con la sua pittura immagini di luoghi realmente esistenti ma trasfigurate nelle prospettive attraverso l’uso sapiente della sua tecnica che infonde luce e ombra, trasformandole così in nuove visioni, in non-luoghi immaginari.

In questa mostra, invece, Ottieri sperimenta una sua personale indagine sull’uomo: ritratti di volti e di corpi, definiti dal suo linguaggio pittorico, dove squarci di luce improvvisi rivelano frammenti corporei nella loro essenzialità, rimandando al mistero del non visto.

Influenzato dalla lettura di Baruch de Spinosa e dalle sue riflessioni sull’uomo, Ottieri ci conduce verso un’osservazione volta a cogliere la complessità della natura umana, lasciandone intravedere una descrizione più intima e profonda.

Di seguito il testo di Tommaso Ottieri:

“Con il giudizio degli angeli e la sentenza dei santi, noi dichiariamo Baruch de Spinoza scomunicato, esecrato, maledetto ed espulso, con l’assenso di tutta la sacra comunità.

Sia maledetto di giorno e maledetto di notte; sia maledetto quando si corica e maledetto quando si alza; maledetto nell’uscire e maledetto nell’entrare.

Possa il Signore mai più perdonarlo; possano l’ira e la collera del Signore ardere, d’ora innanzi, quest’uomo, far pesare su di lui tutte le maledizioni scritte nel Libro della Legge, e cancellare il suo nome dal cielo; possa il Signore separarlo, per la sua malvagità, da tutte le tribù d’Israele, opprimerlo con tutte le maledizioni del cielo contenute nel Libro della Legge.

Siete tutti ammoniti, che d’ora innanzi nessuno deve parlare con lui a voce, né comunicare con lui per iscritto; che nessuno deve prestargli servizio, né dormire sotto il suo stesso tetto, nessuno avvicinarsi a lui oltre i quattro cubiti [circa due metri], e nessuno leggere alcunchè dettato da lui o scritto di suo pugno”

Con questo testo veniva scomunicato Baruch de Spinoza, ebreo marrano in Amsterdam. A secoli di distanza questa scomunica non risulta ancora essere revocata. Aveva 24 anni.

Empietà, eresia, maledizione, esecrabile interpretazione della parola di Dio, in un unico, semplice, fino ad allora impronunciato concetto: ogni uomo non è immagine di Dio, non è creato da Dio, non guarda o cerca Dio e non deve sforzarsi di capirlo.

Dio è tutto, e l’uomo è Dio. Ogni cosa presente nella Natura è essa stessa Dio, contenendo le stesse ragioni, gli stessi principi e la stessa forma. Immaginate un frattale, ogni singola porzione: ogni cellula ha la stessa struttura del livello superiore, e di quello sopra ancora, ed infine del tutto.

Non dobbiamo cercare di scoprire cause, essenza o verità. Siamo noi stessi tutto questo. Se solo non ci distraessimo con ogni cosa futile in cui ci imbattiamo nella nostra vita, e che sembra portarci al bene.

Io ho nove scatole nere di memoria, di ogni volta in cui siete stati a contatto con voi stessi. E che avete dimenticato.

Foto: Paolo Vitale


Custode Silenzioso

Filippo Rizzonelli

Dal 03 dicembre 2022 al 10 febbraio 2023

“Non possiamo più rimandare, è ora di entrare nel bosco. La natura ci sfugge, non si lascia rappresentare, gli alberi alludono e il sottobosco si riempie di occhi.

Un pellegrino attraversa simbolicamente una foresta, una donna si dondola nel proprio santuario naturale trovando riposo, ciascuno si apre al mondo e certi paesaggi – proprio come le immagini, ci accompagnano per anni. Ricorriamo a loro, senza riuscire a capire come e perché, bisognosi di costruirci la nostra geografia, il nostro atlante sentimentale.

Non importa dove siamo, anche quando cambiamo città o paese, quando ci troviamo in un altro tempo, possiamo ugualmente ricostruire soggettivamente il senso e il valore dell’ambiente desiderato. Possiamo comunque continuare ad amare i boschi e le montagne, anche quando non ci troviamo con loro, possiamo continuare a sentire la loro presenza, perché il sentimento, al contrario delle emozioni, è autosufficiente e torna, torna continuamente.

Custode silenzioso è una mostra piena di vegetazione, di alberi, di un cosmo vivente in continua rigenerazione, è l’universo poetico di Filippo Rizzonelli, artista trentino che rincorre la funzione magica dell’arte, quella di aprire l’immagine verso tempi e luoghi precipitati in quell’arcipelago che chiamiamo stato d’animo.

Forme simboliche diventano narratrici della superficie della terra, della profondità delle radici e del carattere ciclico del tempo. Attaccati a ciò che si è vissuto, bisognosi di figurarci coscientemente ciò che ci muove e ci anima, “Custode silenzioso” alimenta la ricerca di un’idea di meta in cui non c’è più una meta. Non esiste nessun luogo finale, ma solo la spinta a continuare a muoverci: “Scava. Scendi nella miniera. Ricerca.”

Testo di Mohini Dasi Pettinato

Filippo Rizzonelli
Nato a Riva del Garda (TN) il 18 giugno 1991.
Nel 2017 si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e nel 2021 consegue la propria Laurea Magistrale presso lo IUAV, indirizzo Arti Visive. Per oltre undici anni vive e lavora a Venezia, dove co-fonda l’artist-run space zolforosso, la piattaforma COMECOME.info ed il network Venice Independent Art Scene. Da settembre 2022 vive e lavora a Bologna. La sua ricerca creativa si sviluppa e sostanzia nell’attiva commistione tra pratica pittorica e installazione site-specific, scrittura critica e organizzazione socio-culturale, deambulante esplorazione sentimentale e attività politica.

Per la mostra personale Custode Silenzioso, ospitata da Gallerie Riunite, presenta sedici opere inedite, realizzate nel corso degli ultimi tre anni.


IT SLIPS AND FALLS AND IS REBORN

Fiona Annis

Dal 27 settembre al 11 novembre 2022

It Slips and Falls and is Reborn è una meditazione sulla fragilità e la resilienza della vita. La mostra presenta una selezione di opere che esplorano i temi della catastrofe, del desiderio e della speranza radicale.

Usando il linguaggio della luce e del tempo, la pratica di Annis favorisce usi non ortodossi dell’apparato fotografico – a volte abbandonando completamente il corpo macchina.

Questa mostra include immagini in cui artefatti storicamente considerati come errori diventano il soggetto principale (la serie Hesitation Lines) e in cui vari gesti, che vanno dal cullare allo schiacciare, sono impressi sulla superficie sensibile della carta alla gelatina ai sali d’argento (rispettivamente le serie De-siderare e Dis-astro). Il cuore della serie Dis-astro è un’indagine per dare espressione materiale alla natura contemporaneamente catastrofica e creativa del disastro, dis-astrum, che letteralmente significa perdere le stelle. Le immagini raccontano una storia di fratture e cicatrici e rivelano anche nuove topografie. Agendo come una metafora per lo sconvolgimento e la riconfigurazione personale e collettiva, la serie è una meditazione sul potenziale del disastro come un impulso a ritrovare i punti di riferimento perduti.

Presentata in parallelo, la serie De-siderare esplora le intensità del desiderio come forza generatrice alla ricerca di nuove costellazioni. L’insieme di queste immagini parla non solo alle ossa della fotografia stessa, ma dà voce anche alla profonda incertezza – e al vasto potenziale – del momento attuale.

It Slips and Falls and is Reborn è il capitolo più recente del suo progetto, A Portion of That Which Was Once Everything, che è tuttora in corso.

Concepito nel 2018, il progetto include fotografie, sculture, opere d’arte testuali e artefatti d’archivio, ed è sviluppato attraverso residenze di ricerca, collaborazioni con autori e mentorship intergenerazionali. Capitoli del progetto sono stati presentati in vari contesti, tra cui: installazioni all’aperto (Rencontres internationales de la photographie en Gaspésie), mostre in galleria (Campbell River Art Gallery), in dialogo con collezioni museali permanenti (Museo Novecento, Napoli) ed eventi di creazione artistica in collaborazione con il pubblico (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, Roma).

Foto: Marzia Caramiello


IL DONO

Matteo Lucca

Dal 26 marzo al 28 maggio 2022

La sua ricerca artistica si muove attraverso l’utilizzo di diversi approcci espressivi. Insieme alla terracotta e ad approcci performativi, il suo intento è quello di attivare una riflessione sull’umano. Negli ultimi anni concentra il suo lavoro, sull’utilizzo del pane come materia prima per la realizzazione delle sue opere.

Da sempre attento al tema del corpo, nelle sue sculture il pane va inteso come simbolo del nutrimento, dell’offerta, ma anche come simbolo di unione, di amicizia e di legami.

L’uomo di pane si dona offrendo il suo corpo, superando il proprio ego, connettendosi all’altro, alla terra e alla natura tutta.

La materia pane, quando prende forma di corpo, racconta l’uomo attraverso i suoi significati e la sua storia. Il corpo, viceversa, si espone e si racconta nella forma della materia. Da questa intersezione nasce qualcosa di altro: il pane non è solo cibo, ed il corpo non è solo un corpo. La loro unione è un incipit di un racconto sulla natura umana,  e sull’esistenza complessa, tra lo spirituale e il materiale, nelle variabili imposte dal Caso e dalla sua imprevedibilità.


“Ad oggi le parole chiave del mio approccio sono: affidarsi ed inciampo. quello che mi interessa ora è innescare la miccia di un processo potenzialmente autonomo nel quale in parte affidarmi ed essere osservatore di ciò che accade. L’affidarsi è anche nell’accogliere l’inciampo, l’inaspettato e fare tesoro di questa cosa come valore centrale dell’opera e come luogo di osservazione e comprensione. 
Durante il processo il mio ruolo è quello di assecondare il naturale dispiegarsi degli eventi coi quali sono in dialogo. A livelli diversi il mio compito è quello di creare il territorio adatto e predisporre le condizioni.
Nel caso delle opere in pane si tratta per esempio di disporre il pane negli stampi e seguire la cottura, ma quello che accade mentre l’opera lievita e cuoce non dipende più da me”.  (Cit. Matteo Lucca)

Foto: Alberto Ravenna